Con il 2018, noi donne della bicicletta, ma anche gli uomini, abbiamo ottenuto una tassa sul “sudore” voluta dalla Federazione Ciclistica, fondi per la costruzione di piste ciclabili e un Piano per la mobilità ciclistica arrivato a metà dicembre con i panettoni. Con queste carte sul tavolo, avendo più volte riflettuto sulla relazione, ebbene sì, pericolosa o quanto meno equivocabile tra cicloturismo e piste ciclabili, mi sono chiesta: cosa serve allo sviluppo del cicloturismo in Italia, termine sonoramente ignorato da Piano Strategico Turistico Nazionale? Comincio dalle parole della bicicletta, utili a chi viaggia in bici.
Le parole della bicicletta sono appropriate?
La legge quadro sullo Sviluppo della mobilità in bicicletta e realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica approvata al Senato a fine 2017, chiamata anche Piano generale per la Mobilità Ciclistica della durata di 3 anni, riconosce alla bicicletta, udite udite, l’onore e onere di mezzo di trasporto “sia per le esigenze quotidiane sia turistiche”: in sostanza intende definire gli interventi relativi allo sviluppo della mobilità ciclistica in ambito urbano e sui percorsi turistici nazionali di Bicitalia, secondo la mappatura Fiab. In materia di terminologia su bicicletta, mobilità dolce e cicloturismo, la legge si preoccupa di distinguere tra:
- ciclovia: itinerario percorribile in entrambi i sensi, segnalato e dotato di livelli di protezione diversi rappresentati da infrastrutture che rendono la percorrenza ciclistica più agevole e sicura;
- rete cicloviaria: segmenti di ciclovie raccordati tra loro, descritti, segnalati e percorribili dal ciclista senza soluzione di continuità;
- via verde ciclabile o greenway: pista o strada ciclabile in sede propria su cui non è consentito il traffico motorizzato;
- sentiero ciclabile o percorso natura: itinerario in parchi e zone protette, sulle sponde di fiumi o in ambiti rurali dove è ammessa la circolazione delle biciclette;
- strada senza traffico: strada con traffico motorizzato inferiore alla media di 50 veicoli al giorno calcolata su base annua;
- strada a basso traffico: strada con traffico motorizzato inferiore alla media di 500 veicoli al giorno calcolata su base annua senza punte superiori a 50 veicoli l’ora;
- strada 30: strada urbana o extraurbana sottoposta al limite di velocità di 30 km l’ora o ancora meno, opportunamente segnalata.
Cosa manca o crea confusione?
Esistono ciclopedonali come quella di Cagliari lungo la spiaggia del Poetto, o come quella del Ponente ligure a Sanremo, tra città e spiagge, dove la segnaletica a terra separa la percorrenza di runner, pedoni e ciclisti. Sulla ciclopedonale dell’Alzaia del Naviglio Grande, a Milano, priva di strisce di separazione, ci si ritrova a pedalare tra skateboard, cani e passeggini. Secondo il nuovo Piano generale sulla mobilità ciclistica, queste ciclopedonali ricadrebbero sotto il cappello generale di ciclovia. Su queste direttrici di viaggio cosa pensano le mamme dei ciclisti o i ciclisti dei passeggini? E cosa è previsto per la sicurezza di chi viaggia in bici?
Ci sono ciclopedonali o greenway utilizzate anche come ippovie che consentono anche il traffico di veicoli motorizzati come la Greenway del Nera. Cosa dice il Codice della Strada o il nuovo Piano della Mobilità Ciclistica della coabitazione tra bici e cavalli?
Manca anche uno specifico riferimento alle corsie ciclabili, realizzate in sede separata o meno, diffuse negli ambienti urbani, che ricadrebbero nel paniere generale delle ciclovie. Noi ciclisti urbani e extraurbani sappiamo bene che le tematiche dei trasferimenti in città sono ben diverse da quelle di un viaggio in bicicletta, un allenamento o una pedalata cicloturistica.

Assente è anche il concetto, familiare a Londra, nei Paesi Bassi e scandinavi, di super highway, le corsie ciclabili spesso numerate, come se fossero autostrade per le bici, separate dal traffico motorizzato, che servono percorsi particolarmente veloci e battuti come quelli che collegano i quartieri residenziali e le Università. Alcune delle più spettacolari nel mondo sono descritte a questo link con con una bella infografica.
Non citate dal Piano anche le corsie ciclabili sulle strade a senso unico eccetto bici diffusissime a Parigi e in altre città del mondo, dette anche contro senso ciclabile: una misura straordinaria, sia di sicurezza, sia di fluidificazione del traffico, che tiene presente il fatto che la maggior parte degli incidenti auto/bici avviene quando i veicoli sono accostati lateralmente e non frontali.
Mancano anche i riferimenti ai segnali di precedenza ai ciclisti e alle “case avanzate”, le zone di arresto ai semafori davanti al traffico motorizzato utili a non respirare gas di scarico e a svoltare in sicurezza evitando di tagliare la strada a sinistra e gli angoli morti a destra.
Le parole sono importanti?
Sì: denotano ragionamento e pregnanza. Esprimono, con un insieme di fonemi, concetti altrimenti non condivisibili. Non a caso l’Inquisizione e il Nazismo hanno bruciato libri. Non a caso la filosofia sostiene che il pensiero non esiste prima della lingua se non come massa amorfa e che le lingue non sono espressioni di una stessa realtà colta nella sua identità fondamentale, ma costituiscono modi diversi di rappresentazione della realtà. In pratica, senza la formulazione e la conoscenza del termine “autostrada della bicicletta”, nessuna regione o comune, nell’applicazione locale del Piano, sarà legittimato o ispirato a progettarne una.

Questa legge farà decollare il cicloturismo?
Da sola no. “Il merito del Piano della mobilità ciclistica”, sottolinea Giulietta Pagliaccio, volitiva presidente Fiab, “è di aver introdotto nel Codice della Strada il concetto di mobilità sostenibile: praticamente una rivoluzione culturale”. La legge prevede infatti la seguente modifica: le parole « al principio della sicurezza stradale » perseguito dal Codice della Strada sono sostituite da « ai principi della sicurezza stradale e della mobilità sostenibile ». All’obiettivo di rendere fluida la circolazione viene aggiunto quello di « promuovere l’uso dei velocipedi ». Si legga biciclette, visto che, grazie al cielo, i velocipedi sono scomparsi da un secolo (vedi gli articoli sulla Storia della bicicletta).
Autobus per il trasporto biciclette
Altro buon punto della nuova legge, mi fa notare la Pagliaccio, è quello di riconoscere agli autobus e pullman da noleggio, di linea e turismo la possibilità di dotarsi di portabagagli applicati sul retro a sbalzo che possono sporgere fino a un massimo di 80 cm. Ad oggi, gli autobus di linea Flixbus già trasportano in Italia le biciclette, ma solo su alcune tratte, di peso non superiore ai 25 kg, per un massimo di 5 bici a tratta, con portabiciclette o mediante borse nel vano bagagli in caso di pieghevoli. I treni restano invece un punto dolente.
I nuovi treni regionali
Giuglietta Pagliaccio mi rivela che Fiab è stata invitata da Trenitalia a visionare il prototipo di carrozza dei nuovi treni regionali che potranno essere acquistati in futuro, a discrezione, dalle Regioni: treni in cui ogni vagone avrebbe un numero x di posti bici. Resta sospeso il tema ostico dei treni a lunga percorrenza in cui, come si sa, le biciclette possono solo essere trasportate come bagaglio. Un fatto che decisamente non favorisce lo sviluppo del cicloturismo né l’arrivo di stranieri con le bici al seguito.
Sul tema treno + bici leggi Bicicletta sul treno, una lunga storia di disamore.
La dieta del traffico
Per Fiab tuttavia, nonostante le manchevolezze, il Piano generale per la mobilità ciclistica è già un passo in avanti. Per il 2018, la presidente si prefigge di far battaglia sulla “dieta del traffico”: un regime fatto di strade con il limite di 30 km orari, contro senso ciclabile, case avanzate ai semafori, sostegno economico a chi acquista biciclette anche elettriche, incentivi fiscali ai negozianti che attrezzano gli spazi pubblici antistanti per la sosta delle bici e l’istituzione di un Ufficio nazionale della Bicicletta che, al cambiar dei governi, possa restare un interlocutore di riferimento.
Della liaison dangereuse tra ciclabili e cicloturismo, trappola, opportunità o equivoco, ho scritto qui, nella seconda puntata.