Nel punto più basso della terra, in Giordania, oltre 400 metri sotto il livello del mare, come in un libro di Jules Verne, si trova il tesoro: il Mar Morto ovvero la Spa a cielo aperto più grande del mondo. Questo giacimento di sali, magnesio, sodio, bromo, calcio e potassio è avvolto in un’atmosfera particolarmente ricca di ossigeno tra le montagne della Palestina a ovest e i monti Moab a est, nella Grande Fossa Tettonica che dalla Siria attraversa l’Africa orientale.
Il Mar Morto è un posto mitico: il luogo dove Cleopatra mandava a fare bottino di fanghi e sali per la preparazione dei suoi unguenti di lunga vita, dove gli egiziani raccoglievano bitume per la mummificazione dei faraoni e dove la Bibbia hai i luoghi della sua geografia spirituale. Il Mar Morto, eccezionale bacino di acqua senza sbocco, alimentato dal fiume Giordano, dieci volte più salato di un qualsiasi oceano, è lungo 80 chilometri e largo circa 14, collocato in un deserto di arenaria ocra, sassi e canyon fortemente erosi che d’inverno regala una temperatura di 20-24°.

Perché si chiama Mar Morto?
Morto perché la sua salinità non consente la crescita di alcuna forma di vita animale e vegetale. Vivido però nella tracce che la Storia ha lasciato; nella frequentazione di pernici delle sabbie, allodole del deserto codafasciata, gruccioni verde minore e sassicola codanera che lo utilizzano come tappa di correnti migratorie. Va da sé che questo straordinario giacimento di benessere sia diventato una meta eccellente per le vacanze detox: per spezzare l’inverno, ricaricarsi di preziosi oligoelementi, sottoporsi a trattamenti ad hoc nelle Spa dei resort e fare l’esperienza del bagno galleggiante da cui si esce con la pelle morbida come quella di un bambino. Se l’ora è giusta, si osserva il sole tramontare di fronte, dietro le Montagne della Palestina, mentre tutto si tinge di cipria.
Passaggio ad Amman, la capitale della Giordania
Sul Mar Morto, in Giordania (nel cui territorio cade il 54% del bacino, il resto porta bandiera israeliana), si arriva da Amman. Di antica fondazione ma distrutta nel 750 da un devastante terremoto, la città è frutto di una ricostruzione avviata nei primi decenni del Novecento. Non vi è un vero e proprio centro storico ma alcune zone di interesse.
In Rainbow Street, nel quartiere centrale di Jabal, sfila qualche boutique di nuova generazione e il ristorante di tendenza Sufra, una villa del ’43 appartenuta a un ricco armeno, decorata con piastrelle del primo Novecento, con le porte, gli infissi, gli specchi e i lampadari appartenuti alla casa originaria. Scritto con i gessetti sulla lavagna (in arabo ovviamente!), il menu prevede ricette antiche e non comuni recuperate in chiave contemporanea, come le interiora di agnello farcite con riso, carne trita e pinoli, e il “fukharat” ovvero la tajine di pollo o lepre o agnello con le verdure da accompagnare con tè al timo, spremuta di limone (attenzione, in Giordania sempre zuccherata) o il caffè al cardamomo.
L’ONG della Principessa Rania
Poco lontano, all’incrocio tra Rainbow Street. e Fawzi Al-Ma’Louf Street, un’altra tappa must, il piccolo emporio della Jordan River Foundation, ONG creata nel ’95 per il recupero degli antichi mestieri artigianali di cui è presidentessa la principessa Rania, ricavato nei locali di una vecchia scuola elementare del 1936. Nell’unico shop della Fondazione ad Amman sono in vendita tappeti di lana, ceramica, cuscini, candele e i bei cestini di foglie di banana intrecciate (in passato bruciate al solo scopo di ottenere calore) fatti dalle donne di una cooperativa femminile. Per acquisti più veraci – spezie, generi alimentari e vestiti low cost – bisogna andare nella trafficata Talal Street, in Downtown. Non prima di aver dato un’occhiata alla Cittadella, al Teatro Romano e al nuovo Jordan Museum che raccoglie il meglio della collezione archeologica del paese.
I resort del benessere
La località di Sweimeh è dove, sulla sponda nordoccidentale del Mar Morto, tra spiaggia, costoni di roccia e tappeti di sale più o meno cristallizzato, si raccolgono i resort del benessere, dista 45 minuti circa, su una superstrada scorrevole, dal centro di Amman. Dove un tempo si coltivava la sola canna da zucchero e dove, dalla località di Madaba, nell’entroterra, fino a Monte Nebo, partiva la storica Via del Sale usata dagli Egizi e da “fattorini” di Cleopatra, sono sorti i primi “bagni pubblici” utilizzati al solo scopo di immergersi nella benefica acqua.
Lo sviluppo di grandi resort è naturalmente successivo; lo sfruttamento del sale a scopo cosmetico-terapeutico è iniziato solo nel 1989. Si fa tappa volentieri, sulla strada da Amman a Sweimeh, al grande spaccio Rivage, in località Rama, che ha gli scaffali ricolmi di Sali, fanghi per il corpo all’olio di jojoba o avocado o miele, creme di tutti i tipi che utilizzano, come ingrediente base una piccola percentuale di Sali del Mar Morto, materiale grezzo, “pescato” sul tratto di costa sudoccidentale del Mare, trattato e filtrato, talvolta colorato e aromatizzato.

Lungo la Via dei Re si arriva a Petra
Dal Mar Morto, per scendere giù a sud verso il parco archeologico di Petra, si imbocca l’unica autostrada (uscita Shawdak) o si viaggia nel corrugato deserto di argilla, sassi e arenaria che segna il cuore centro-orientale del paese, lungo l’antica Via dei Re che ricalcava il percorso dell’antichissima Via Traiana romana. Da Amman sono circa 240 km, dal Mar Morto molto meno, in un paesaggio dai toni biblici punteggiato qua e là da lecci e da piccoli agglomerati, particolarmente affascinante nel tratto tra la Riserva di Fifa e At-Tafila dove il gesso stria di bianco le dominanti pareti di arenaria.
Ci si ferma volentieri per la notte all’albergo diffuso Taybet Zaman, nel paese di Wadi Musa, un villaggio di casette in sasso ricavato da un originario agglomerato di 100 anni fa, shabby e rustico quanto basta per renderlo filologico in questo habitat da Bibbia. Con piscina, ristorante, hammam e un piccolo shop di manufatti artigianali inseriti in un contesto di fichi, cipressi e tamerici.
A mangiare si va invece al Petra Kitchen, ristorante con bottega artigiana dove si può fare l’esperienza della scuola di cucina abbinata alla degustazione dei piatti: minestra di lenticchie, tabbouleh, felafel e mensaf, il pasto tradizionale beduino a base di agnello e yogurt gamid da accompagnare con la limonata al pesto di menta.
Petra a luce di candela
E’ stato proprio Eid Nawafleh, il proprietario del ristorante, ad essersi inventato la visita notturna della città di Petra illuminata dalla sola luce delle candele disposte a terra, in lampare di carta, all’interno del canyon di arenaria che conduce al Tesoro, il tempio con le camere rituali e sepolcrali che i Nabatei vollero costruire con la facciata di sapore ellenistico, scavata e scolpita nel I secolo a.C.
Il favoloso sito archeologico di Petra, integrazione unica tra l’opera dell’uomo e quella della natura, una meraviglia da vedere almeno una volta nella vita, si snoda per un percorso di 3 chilometri su cui sfilano luoghi sepolcrali, di scambi commerciali (il sito era uno snodo cruciale lungo le vie carovaniere tra Africa e Medio Oriente), grotte con iscrizioni in greco e aramaico e tempietti votivi decorati con colonne, capitelli, statue e timpani di sapore ellenistico scolpiti nella morbida arenaria.
Sono state girate qui alcune scene dei Predatori dell’arca perduta con Harrison Ford nei panni di un indimenticabile Indiana Jones. Non a caso. Dal 1985 nella World Heritage List Unesco, Petra è una delle sette attuali meraviglie del mondo. Dopo secoli di abbandono, fu riscoperta nel 1812 dall’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt. Oggi è da riscoprire a piedi, a cavallo, in dromedario o in calesse. In modalità slow.