Un percorso permanente, 481 km di ciclovia su strade a bassa percorrenza di traffico, da Comacchio a San Giovanni in Marignano (Cattolica), la “Via Romagna” è la risposta progettuale della Romagna all’attuale congelamento del cicloturismo determinato dal Coronavirus. Un progetto apripista cui si sta lavorando da oltre un anno, che sarà pronto, visto il rallentamento imposto dall’epidemia, per la primavera del 2021. A svelarmi, in anteprima, la traccia e i dettagli del progetto Via Romagna sono gli ideatori Alberto Gnoli, socio di Hospitality Marketing, e Chiara Paviani, direttrice marketing del Consorzio di bike hotel dell’Emilia Romagna Terrabici.
Pochi giorni dopo la dichiarazione del Ministro dei Beni Culturali e Turismo Dario Franceschini a La Stampa sul 2020, “anno in cui scoprire un’Italia meno conosciuta: borghi, cammini, piste ciclabili, treni storici”, scoprire che la Romagna, il territorio a più alto tasso di creatività turistica in Italia, punta, per la ripresa del cicloturismo, su una rete di strade secondarie già esistenti, e non a nuove piste ciclabili, è stato come imbattersi in un faro che accende la sua brillante lanterna al crepuscolo.
Il cicloturismo non si nutre infatti solo di piste ciclabili per lo più pianeggianti come lungo la Loira o nei Paesi Bassi (l’Italia, ricordiamolo, è fatta per due terzi da colline e montagne), ma di percorsi con un buon fondo stradale, di valenza paesaggistica e a bassa densità di traffico, come scrivo in Cosa serve al cicloturismo?

La Via Romagna in bicicletta, il progetto per rilanciare il cicloturismo tra mare e colline
“La Via Romagna è la sommatoria di strade minori a valenza paesaggistica”, rivela Gnoli, “che presenta un 25% di strade bianche percorribili anche in bici da corsa con pneumatici non troppo sottili e una ventina di km di strade a maggiore scorrimento di traffico”. Disegnato con l’intento di connettere litorale ed entroterra (una dicotomia che solo il cicloturismo, in Romagna, e la lirica del grande poeta-sceneggiatore Tonino Guerra, hanno potuto sciogliere) e di “inanellare borghi e rocche, caseifici, artigiani e cantine”, il percorso della Via Romagna presenta 7.900 metri di dislivello.
Asso nella manica per il rilancio del territorio dal punto di vista cicloturistico, una volta passata l’emergenza Coronavirus, “la Via Romagna può diventare un progetto pilota per ogni territorio”, afferma Chiara. Il suo obiettivo ultimo è l’istituzione, su parte dei 481 km, di strade a priorità ciclistica dove, nella fascia oraria tra le 9 e le 16 in cui si muovono i ciclisti, le bicicletta possano avere la precedenza. Un concetto, quello delle “cycling street” ben familiare nei paesi dalla ciclabilità matura come l’Olanda dove vengono chiamate Fietsstraat, da noi nemmeno contemplato dal Piano Generale sulla mobilità ciclistica del 2017.

Della Via Romagna di cui è già stata realizzata la mappatura in collaborazione con Marco Selleri (organizzatore del Giro Under 23) manca la segnaletica e le azioni di comunicazione e promozione, da portare avanti, a tempo debito, in collaborazione con i bike hotel di Terrabici. “Adesso”, afferma Alberto, “vogliamo condividere il progetto con i Gal, i sindaci e le comunità montane, per accogliere eventuali richieste di modifica del percorso”.
Nell’auspicabile ipotesi che la Via Romagna non si areni, in fase di studio di fattibilità, come è successo a VenTo e alla Ciclabile dell’Acquedotto Pugliese, progetti entrambi già finanziati dalla Legge di stabilità, il percorso permanente potrebbe sfociare in un secondo step, quello dell’integrazione con la Via Emilia e la realizzazione della Via Emilia Romagna in bicicletta. “Una goccia più una goccia”, scriveva Tonino Guerra, “fa una goccia più grande”. Se così fosse, sarebbe un bellissimo simbolo di ripresa.