Il 23 febbraio 2020 riapre lo storico Velodromo Vigorelli, a Milano per una sessione di allenamento libero. Vi si potrà accedere con la propria bicicletta da pista o noleggiarne una sul posto. E’ obbligatorio arrivare con casco e tessera di affiliazione sportiva. Il comitato di gestione (info@vigorelli.eu), in una nota su Facebook, ricorda di non fumare, non camminare sulla pista, di sorpassare sempre dal lato esterno (a destra), di non procedere a zig zag e di lasciare la corsia dei velocisti a fondo pista, ai ciclisti più grintosi. Una riapertura che mi dà il pretesto per rispolverare un po’ di storia e per dare la notizia dell’accordo con l’azienda Look che fornirà al Velodromo una flotta di biciclette da pista da utilizzare nel progetto di Scuola di ciclismo su pista cui il comitato sta lavorando da mesi.
Il Velodromo Vigorelli è un’arena senza tori. Uno stadio senza calciatori, pronto ad accogliere fino a 7.000 persone. Il posto dove i Beatles tennero il primo concerto della tournée italiana nel giugno del 1965. E dove, chi abita nei grattacieli firmati dagli archistar di City Life, il quartiere nato dalla riqualificazione della vecchia Fiera di Milano, sbircia volentieri, dall’alto, un certo anello di abete rosso, il percorso, senza soluzione di continuità, dei “pistard”.

Il Velodromo Vigorelli: storia e record
Appare così, da fuori e dall’alto il Vigorelli, lo storico velodromo di Milano, di cui procedono a cura di City Life i restauri. Il 27 giugno 2016 mattina, data della posa della prima pietra della terza e ultima torre, il grattacielo “Curvo” dell’architetto Daniel Libeskind, il campione Francesco Moser è stato protagonista del quarto test di collaudo. Ufficiosamente ha commentato che la pista è “più veloce di prima”; ufficialmente, “scorrevole e bella: basta correre”.
Chiuso nel settembre del 2001 dopo l’attentato alle Torri Gemelle, il Vigorelli non è stato ribaltato come un guanto. I listelli di legno ancora in buono stato sono stati recuperati, impregnati adesso di una finitura di protezione per insetti, terra e umidità. Con poca nodosità, morbido e con fibre sottili, i chiodi non a vista, l’abete della Val di Fiemme, in Trentino, era l’unico ammesso dalle Belle Arti e dal protocollo del 1935 che ne aveva stabilito i criteri di costruzione.
Le travi a capriata sotto il piano inclinato sotto state rafforzate. E nei prossimi anni, finita la copertura, si procederà al rifacimento degli spogliatoi e delle tribune fino alla rinascita della storica palestra Ravasio. Toccherà poi al Comune, nel 2018, in concerto con la Federazione Ciclistica e quella di Baseball Americano che gestisce il campo centrale, deciderne l’esatto destino.

Quel che è certo, all’indomani del test di Francesco Moser, è la Storia. Al Vigorelli, il campione è tornato in sella alla bicicletta con cui aveva segnato, tra queste tribune, il record dell’ora del 1986. Il restauro della pista ha utilizzato 11 tonnellate di abete rosso pari a 50 alberi. Cinquecento ne sono stati piantati nel Bosco detto appunto Vigorelli, in Val di Fiemme, che assicura la sostenibilità del progetto. All’interno della pista, all’epoca della sua prima progettazione in pino siberiano, era previsto un tracciato di dirt track in cenere all’inglese. I listelli di abete furono montati nel ’44 dopo i bombardamenti della II Guerra Mondiale.
La pista è lunga 397,70 metri, larga 8,43 con una pendenza in rettilineo di 6,57°, in curva fino a 42,5°. Nel ’34 era stato inaugurato non finito. Nel ’35 ha ospitato il record di Giuseppe Olmo, nel ’42 quello di Coppi, oltre trent’anni fa il primato di Francesco Moser. I record femminili sono stati di Mary Cressari e Rossella Galbiati. La mattina del 27 giugno c’erano le atlete del Team Pink VO2 a provare la pista. Si attendono da loro altri record.
Ricordo anche che il ciclismo su pista ha una storia iniziata nel 1893. Fu inventato dagli americani a Chicago con il primo Mondiale che si svolse durante l’Esposizione Universale: un balenio di forze sottomesso al potere della forza centrifuga.