La Maglia Rosa, la storia che nessuno sapeva | Mai codificata

Il rosa della Maglia del Giro d’Italia, tra i più iconici che ci siano, eppure il simbolo del ciclismo nostrano non è mai stato codificato.

Nessun colore è per sempre. E nessuna vibrazione cromatica è eternamente maschile o femminile. Vedi il rosa della Maglia del Giro d’Italia, tra i più iconici che ci siano. Per cominciare, non si sa bene quale colore sia: il suo codice, nell’anno del Centenario, è il Pantone 190 C. Ma solo in questa edizione. Strano a dirsi, il rosa della maglia simbolo del ciclismo italiano non è mai stato codificato e non è sempre uguale. Basta fare un salto al Museo del Ghisallo, conquistati quei 7 km di salita ardita da Bellagio, sul Lago di Como, per osservare, appese a stendini di legno, maglie color pesca, salmone, cipria, polvere, fenicottero, fucsia, bubble gum, rosa antico, corallo e rosa nudo. Una festa cromatica e di emozioni per la tinta che, secondo il Pantone Color Institute, massima autorità in materia, stempera la passione con una pennellata di purezza e di innocente romanticismo. Ma che qui rappresenta la bellezza della fatica: delle salite o delle discese, a seconda delle tappe.

La Maglia Rosa
La Maglia Rosa, l’icona del ciclismo italiano – foto fonte: ansa – ladradibicicletta.it

Consumate, scolorite, lavate, ricamate, inscatolate, le 53 maglie conservate al Ghisallo sono il frutto di 2 anni di donazioni e ricerche fatte con il lanternino, dal 2010, andando a bussare alle porte dei paesi di origine dei corridori. Dei ritrovamenti è autore il giornalista Federico Meda cui RCS Sport affidò all’epoca il progetto Giro for Ghisallo: per ogni vecchia maglia realmente indossata durante il Giro e ritrovata, l’azienda avrebbe corrisposto la somma di € 500 per sostenere il Museo e la sua collezione. “L’idea”, mi racconta Federico da Berlino dove adesso vive, “era che, in uno sport gratuito come il ciclismo, la Maglia Rosa doveva tornare a essere di tutti”: doveva tornare a casa, in un luogo dove la si potesse ammirare in tutte le sue sfumature.

La Storia vuole che la maglia rosa nacque probabilmente per imitare la maglia di leader gialla del Tour de France. Era il 1931. Il primo a indossarla fu Learco Guerra, il 10 maggio vincitore della prima tappa, la Milano-Mantova. Si trattava di una maglia di lana grezza con il collo alto e due tasche sul davanti chiuse da bottoni del peso di circa 3 etti, rosa smunta come il colore dei fogli della Gazzetta della Sport, la carta che all’epoca costava meno.

La storia della Maglia Rosa, il reperto più antico è del 1935

La prima maglia rosa non compare nella collezione del Ghisallo il cui reperto più antico è del 1935, esposto, come gli altri, con l’anno di riferimento, il nome del corridore che l’ha indossata e quello del donatore. Di queste maglie, molte sono ancora in lana. Le fibre sintetiche apparvero negli anni Settanta. Le precedenti a quel decennio vennero per lo più realizzate, per conto delle squadre, dai maglifici lombardi Vittore Gianni e Tizzoni. Negli anni Settanta e Ottanta sono prodotte da Castelli. Le attuali sono state realizzate a Lallio, dal maglificio Santini: rosa pantone 190 C riservata al leader della classifica generale, la ciclamino, colore accattivante, che risolleva il morale e mette in circolo l’adrenalina, destinata al leader della classifica a punti.

Bettini e Maglia Rosa
L’ex cittì della Nazionale italiana di ciclismo in visita al museo della Maglia Rosa – foto fonte: ansa – ladradibicicletta.it

Nel 1931, quando Learco indossò la prima maglia rosa, la stilista Elsa Schiaparelli, amica e collaboratrice di Salvador Dalì e antagonista di Coco Chanel, non aveva ancora creato a Parigi, al n.1 di Place Vendome, il profumo Schocking de Schiaparelli, il flacone modellato sul busto di Mae West, la cui confezione sdoganò il rosa shocking, una nuance particolarmente intensa di magenta. Nessuna connotazione di genere prima di allora. Il rosa era considerato un colore virile, derivato dal rosso primario, sanguigno, rovente, rivoluzionario e da arena: per l’alchimia rappresentava la forza maschile. I bambini fino ai 6 anni vestivano indistintamente di bianco. Colori pallidi come il celeste virginale del velo della Madonna erano riservati alle giovani fanciulle. Fino al 1920, regola comune era che il rosa fosse indicato per i ragazzi, l’azzurro, più delicato, per le ragazze. In quegli anni, nell’età del jazz, Francis Scott Fitzgerald veste Gatsby di un completo rosa, ripreso poi nel film con Robert Redford del 1974 e in quello con Di Caprio del 2013. Un abito da gentiluomo che esprime allo stesso tempo tenerezza, rabbia e virilità. Quello che Gatsby, in fondo, era. Il profumo dalla confezione rosa shocking della Schiaparelli e la conseguente proliferazione di cosmetici rosa segnano la prima inversione di tendenza. Nel ’39, la maglia rosa di Giovanni Valetti al Giro d’Italia, conservata al Ghisallo, porta sul davanti il simbolo del fascio littorio.

La percezione dei colori s’inverte, ma non per il ciclismo che ha a cuore il suo rosa Gazzetta. Nel 1953, è Marylin Monroe, come mi ricorda la storica del costume Alessandra Lepri, in Gli uomini preferiscono le bionde, a fasciarsi di un leggendario abito color ciclamino-bubble gum con cui canta Diamonds are a girl’s best friends. È di qualche anno dopo, il 1957, la commedia musicale Funny Face, in italiano Cenerentola a Parigi, in cui Audrey Hepburn, bibliotecaria trasformata in modella, nel film vestita Givenchy, viene avvolta, accompagnata dalle parole in musica Think Pink!, in una lunghissima stola di tessuto rosa. Due anni dopo nasce Barbie, la bambola più venduta del mondo, con tutto il suo repertorio rosa. Sono gli anni di Bellezza in bicicletta, poi delle maglie rosa di Coppi e di Gimondi. Anni in cui quella maglia color gomma da masticare o fenicottero diventa ambita da uomini e donne, transgender e unisex come poche. Trovatemi una donna o un uomo che vada in bici da strada oggi che non vorrebbe quella maglia rosa. O, almeno, una maglia rosa…

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