Si può andare in bicicletta con la gonna? Cosa indossare sotto la gonna in bici? Quale rapporto esiste tra moda, sport, cultura della bicicletta ed emancipazione femminile? Come evitare l’effetto mongolfiera dell’abito bianco di Marilyn Monroe sollevato in aria nella famosa scena di Quando la moglie è in vacanza? Esistono gonne per donne cicliste? La mostra dell’aprile del 2019 al Victoria & Albert Museum di Londra su Mary Quant, con l’#WeWantQuant e 200 pezzi provenienti dal guardaroba personale della stilista e dagli armadi vintage di mezza Inghilterra, mi fornisce il pretesto per raccontarvi una breve storia della gonna e del suo impossibile poi possibile rapporto con la bicicletta. In origine, era stata la femminista francese Hubertine Auclert, alla fine del 1800, fondando la Lega per le gonne corte, a far diventare la gonna un forte simbolo di praticità e rivendicazione. Un capo di abbigliamento che prometteva liberazione, testimoniava il livello di autodeterminazione delle donne e che, per l’economista dell’Università di Manchester Diane Coyle, è anche un attendibile indicatore economico: lunga è associata ai periodi di magra, corta come negli anni ’20 e ’60, a periodi di boom economico.
Gonna e bicicletta: le prime minigonne
Nel corso del ’900, la gonna, simbolo di libertà, si accorcia vertiginosamente. Ai Giochi Olimpici di Anversa, nel 1920, fu la tennista francese Susanne Lenglen a indossare una gonna che arrivava audacemente fino al ginocchio, seguita dalla pattinatrice norvegese Sonja Enie alle Olimpiadi invernali del ’28 a Sankt Moritz. Nel 1963, fu l’eclettica e bohémienne stilista Mary Quant ad accorciarne gli orli nel suo scantinato-atelier di King’s Road, epicentro creativo della Swinging London, per dare alle donne praticità e ampiezza di movimenti. Della mini-skirt e della competizione con la mini-jupe proposta dal francese André Courrège, la stilista dirà: “non sono stata io o Courrège a inventarla, ma la strada”. La Quant aveva solo tagliato un po’ di stoffa… L’ex shampista Leslie Hornby, di soli 17 anni, detta Twiggy, fa diventare la minigonna un trionfo. La Mini Minor creata qualche anno prima dal designer Alec Issigonis le dà l’ispirazione per il nome.
Moda e sport
“L’abbigliamento divenne la manifestazione esteriore del mutamento“, leggo nel capitolo Moda, sport ed emancipazione del volume Donne e sport di Maria Canella, Sergio Giuntini e Ivano Granata (Franco Angeli, 2019). La scelta che fecero le donne fu di liberare il corpo ovvero di fare a meno di quelle “armature, prime tra tutte il corsetto, che per secoli avevano ingabbiato il corpo femminile costringendo la donna a una immobilità che ne aveva congelato lo sviluppo, la gestualità, le aspirazioni e la sessualità”. L’adozione della pratica sportiva fece il resto. Allo sport si devono i maggiori mutamenti nella moda del 20° secolo: “il corpo sportivo femminile concorre, tra 1800 e 1900 e, in seguito tra le due guerre mondiali, ad abbattere tabù sessuali e convenzioni imposte dalla nozione di pudore” e dallo sguardo maschile. Tra gli sport fu il tennis a rompere i maniera più dirompente gli schemi: “agli inizi degli anni Venti, la tennista francese Susanne Lenglen diede scandalo per i suoi completi con gonna corta a pieghe, in cotone, e la banda elasticizzata per i capelli, create dallo stilista Patou”. Con René Lacoste e Fred Perry, l’abbigliamento sportivo femminile diventa parte di una vita quotidiana sempre più fondata sulla fruizione del tempo libero.
Andare in bicicletta con la gonna: come e perché
La gonna e le prime biciclette
La Storia racconta che le donne, cominciarono a salire in sella quando fu inventata la catena a trazione posteriore che riduceva l’ampiezza delle ruote, prima inarrivabili, e quando i bloomer, i pantaloni a sbuffo larghi sui fianchi e stretti al polpaccio, soppiantarono gonnellone, sottane e corsetti. Lo racconto anche in questo articolo sulla Storia della bicicletta. Per le cicliste che persistevano con le gonne, si pensò di coprire la ruota posteriore con retine che impedivano al tessuto di impigliarsi nei raggi.
Dal saggio Storia sociale della bicicletta
Leggo nel bel saggio di Stefano Pivato Storia sociale della bicicletta (Il Mulino, 2019) che, “se la liberazione della parte superiore del corpo della donna, grazie all’eliminazione del corsetto, non incontra eccessive critiche, decisamente più problematico si presenta il dibattito sul vestiario che deve coprire le gambe femminili“. Il fatto che la donna possa appropriarsi dei pantaloni, caratteristici dell’identità maschile, provoca non pochi rompicapo. “Le riviste ciclistiche e le associazioni come il Touring Club consigliano di indossare la gonna e di lasciare i pantaloni «alle artiste da palcoscenico». Si raccomandava di indossare «una gonna lunga con il bordo inferiore guarnito di tanti occhielli fatti a mano in modo che passandovi un cordoncino venga a chiudersi come un sacco». Una volta scesa dalla bicicletta la ciclista «toglie il cordoncino e l’abito cade naturalmente ai piedi»”. Povere donne!
Arriva la gonna pantaloni
Le reazioni di disdegno rispetto all’utilizzo dei pantaloni da parte delle donne cicliste si ripetono quando,
nel 1911, dalla Francia arriva la jupe culotte, la gonna pantaloni inventata dal sarto Paul Poiret: una gonna che si divide in larghe braghe strette alle caviglie da nastri. Definita anche «alla turca», per il suo aspetto orientaleggiante, il modello, ritenuto in Italia un insulto alla decenza, alla morale, al buon gusto, venne adottato dapprima in Francia e nel mondo anglosassone.
Come evitare l’effetto Marylin
La famosa scena dell’abito da cocktail color avorio disegnato nel 1955 per Marylin Monroe, che si solleva pericolosamente sulla grata della metropolitana, ci dice che, per evitare l’effetto mongolfiera, basta che il tessuto della gonna o dell’abito sia stretch e non troppo leggero. A meno che l’effetto non sia espressamente ricercato…
La lunghezza ideale
Leggo su più di un blog americano che la lunghezza ideale della gonna da bicicletta da città si calcola così: divisa la lunghezza della coscia in tre parti, l’orlo della gonna dovrebbe ricadere nell’ultimo terzo più vicino al ginocchio. Una misura sufficientemente “protettiva” per avere le gambe libere e non esporre al vento le parti intime.
Il trucco per non fare impigliare la gonna
Per evitare che il tessuto si impigli nei raggi, se la bici da città non ha la retina, basta prendere un elastico e una monetina e pinzare insieme, creando un piccolo occhiello, un lembo del tessuto di dietro con quello davanti, come è descritto nel simpatico video di Penny in Yo’ Pants qui sotto.
Sotto la gonna in bici
Le gonne in bicicletta adesso si portano con mutandine tecniche con il fondello (di cui ho ampiamente scritto qui) come quelle prodotte dalla SixS atte ad attutire lo sfregamento e la pressione della sella. O con le culotte lunghe e colorate di Bikie Girls Bloomers.
Minigonna a campana
In città, la minigonna in bici è paradossalmente perfetta, perché, se svasata o a campana, il suo orlo non si impiglia con il becco della sella. Da portare, d’inverno, con i legging anche da danza o con calze calde e spesse. D’estate, come meglio si crede. Il brand americano Terry Bicycles ne produce un’intera collezione, con e senza zip, con e senza pieghe.
Gonna per la bici da corsa
La minigonna in bici, adatta anche alla bici da corsa o da turismo, è il capo di punta del brand unconventional Biciclista, artigianale e made in Italy, di cui sono soci fondatori Gianni Bernocchi e Stefano Spedini. Di lycra, nata più o meno 7 anni fa, la gonnella da bici aveva, nel primo modello, due zip laterali poi sostituite dagli spacchetti. Il capo nasce per abbinarsi alle maglie da ciclismo colorate e a effetto grafico dello stesso marchio: vista la maglia, puoi richiedere la gonna con lo stesso pattern.
Il vestito per tutte le biciclette
Nei curiosi corsi e ricorsi della Storia, il futuro della gonnella da bici è il vestitino o miniabito (nella foto sotto). Biciclista ci sta pensando da tempo. A maggio del 2018 Gianni e Stefano hanno presentato la nuova collezione stampata su lycra bianca, 4 motivi già disegnati, 3 in arrivo, ispirati agli anni Settanta. Un altro produttore di gonne da bici è Ivalieu, da Portland, nell’Oregan. A questo proposito leggi anche il mio articolo sull’Abbigliamento ciclistico femminile.
Che tipo di donna sei?
La studentessa canadese Rosea Posey ha pubblicato qualche tempo fa una foto su Tumblr che ha fatto il giro del mondo: una scala di aggettivi scritti con il pennarello, posizionati a varie altezza sulla gamba di una sua amica definiva il tipo di donna in base alla lunghezza della gonna. Tutto questo per ironizzare sul comune sentire, pregiudizi e retaggi. Bene è che ogni donna, in bicicletta o no, decida liberamente su quale lunghezza d’onda sintonizzarsi. Una scelta che le donne arabe e in generale di religione islamica non possono fare: per andare in bicicletta (leggi anche il mio articolo In bici diventiamo tutti uguali. Anche allo stadio. Ma non in Arabia Saudita) devo indossare obbligatoriamente un lungo e largo tunicone che si chiama abaya. Nel mondo occidentale, pare che le ragazze comprino la prima minigonna a 16 anni e con il passare degli anni la indossino sempre più mini: da 46 cm a 32 cm, acquistata per lo più da 23enni.
La foto di Rosea Posey sull’altezza della gonna
La cicloviaggiatrice Caterina Borgato scrive a Ladra di biciclette
Normalmente non uso le gonne. Mi piacciono molto i pantaloni. C’è un angolo dell’armadio dove, a un certo punto, spuntano gonne corte di lycra, a colori e fantasia. Quando vedo questa gioia appesa al tubo dell’armadio, è come sfogliare un album di fotografie in bianco e nero: inaspettatamente, ecco una foto, una sola, bellissima, a colori.

Tempo fa ho visto per caso The evolution of the skirt dell’australiano Harry Julius, una clip animata del 1916 che mostrava la graduale riduzione di dimensioni, sia in altezza, sia in larghezza, degli abiti femminili dal 1800 al ‘900. Incuriosita, mi sono messa a leggere quanto trovavo sulla storia della gonna, un indumento così antico e così comune, simbolo di una vera rivoluzione culturale. Sempre più corte, create da Coco Chanel, Christian Dior e Mary Quant, le gonne hanno scoperto le donne, non solo le gambe: ne hanno svelato la forza, il coraggio, la determinazione.

Io invece, andando in bicicletta, ho scoperto le gonne. Sì, le ho proprio scoperte. Dal mio caschetto non sono mai usciti trecce o code di cavallo. Ma il giorno in cui ho visto un prato di fiori colorati avvolgere i fianchi di una ciclista, mi sono innamorata. Da allora non ho mai smesso di portare la gonna in bicicletta, con i pantaloni con il fondello, d’inverno e d’estate.
La gonna in bicicletta è come il casco. Li indosso entrambi ogni volta che salgo in sella. Per andare a fare la spesa, per pedalare per un solo giorno o durante un viaggio in cui uso la bici come casa.
Le gonne che uso sono nate per pedalare: hanno due piccoli spacchi laterali e un elastico di silicone in vita. Le indosso con i legging o i fuseaux neri. La gonna di lycra pesa appena 90 grammi. Piegata, ha le dimensioni di un pacchetto di fazzoletti di carta, ideale anche per il backpacking. Ne ho sempre una di ricambio. Lavata, si asciuga rapidamente e non si stropiccia mai.

Queste gonne hanno pedalato con me (e camminato: uso la gonna anche per il nordic walking e per correre) tutti i chilometri che ho nelle gambe. Nelle salite sui passi di montagna, tra i boschi e gli argini dei fiumi. Sulla neve, la sabbia, la terra e la ghiaia.
Pedalo anche per scrivere. Scrivo per pedalare. La bicicletta mette in moto i miei pensieri e i miei sogni. Se la gonnellina potesse avere voce, racconterebbe di aver viaggiato con un delicato ciclone di parole.
