È su tutti i giornali la notizia che Strava, l’app che consente il monitoraggio e la condivisione dei dati di allenamento di runner e ciclisti, abbia indirettamente agevolato l’individuazione di basi militari in Siria ed Afghanistan. Ad accorgersi del fatto è stato lo studente di Sicurezza Internazionale Nathan Ruser, 20 anni, australiano. Analizzando in dettaglio la Global Heatmap 2017 dell’app Strava, la mappa di geolocalizzazione dei percorsi battuti dagli utenti, pubblicata lo scorso novembre, Nathan ha notato che i tracciati registrati dai soldati in Siria e Afghanistan rivelavano la localizzazione di basi top secret.
Rimbalzata su siti e tv di tutto il mondo, la notizia mi ha incuriosito. Da giornalista, ho scritto qualche giorno fa al servizio press di Strava, senza avere a oggi alcuna risposta. Da utente ciclista dell’app Strava, sono andata a rileggere le mie impostazioni di privacy per vedere se i miei pochi allenamenti sono finiti nei 13 trilioni di pixel rastrellati dalla Heat Map. Ecco cosa ho scoperto.
La Global Heatmap dell’app Strava
La Global Heatmap di Strava, relativa ai dati registrati fino a settembre del 2017, è la grande mappa di visualizzazione aggregata dei punti GPS registrati da runner e ciclisti che usano l’app Strava. Nella mappa, più luminosa è la traccia, più è frequentata e battuta.
Oltre alla Heat Map, Strava App fornisce anche un servizio di elaborazione dati, Strava Metro, che interpreta in modo costruttivo i dati elaborati. Un servizio utilissimo a chi analizza e progetta la mobilità urbana sostenibile e le infrastrutture per la ciclabilità storicamente affidato a modalità empiriche: la conta dei ciclisti in punti stabiliti delle città, ad alcune ore, in un determinato giorno. La Heat Map di Strava rappresenta:
- 1 miliardo di singole attività registrate
- 3 trilioni di punti GPS
- 13 trilioni di pixel
- 10 terabyte di dati
- 27 miliardi di chilometri percorsi
- 200.000 anni di durata totale delle attività
- Il 5% della superficie terrestre.
Da qualche parte sul sito si legge anche che le attività definite “private” dagli utenti sono escluse dalla mappa. I percorsi vengono anche decurtati dei segmenti relativi alle zone di privacy: per proteggere il proprio indirizzo o quello del luogo dove si ricovera la bici, in modo da evitare eventuali furti, noi ciclisti che usiamo Strava possiamo definire, fino a un raggio di 1 km, una zona cuscinetto che non viene né visualizzata né condivisa.

Questione di privacy
Nelle impostazioni di privacy del proprio account su Strava, in fondo alla pagina, si legge: “fornendo i tuoi dati sulle attività pubbliche e rese anonime a Strava Metro e alle Heat Map potrai aiutare a comprendere meglio e migliorare le infrastrutture per pedoni e biciclette”. Si può quindi scegliere se dare o meno il consenso alla inclusione dei propri dati di attività (mantenute anonime) per l’elaborazione della Heat Map. Viene da pensare che i militari che corrono e si allenano intorno alle basi in Siria e in Afghanistan non siano arrivati in fondo alla pagina: non hanno selezionato il quadratino che dice “rendi private le mia attività come impostazione predefinita”. Eppure, regole sul segreto militare devono averne macinate.
La lettera dell’AD di Strava non contiene scuse
A seguito dello svelamento della location delle basi, James Quarles, AD di Strava, ha scritto una lettera aperta indirizzata a tutta la community in cui sottolinea la facoltà di ognuno di divulgare o meno i propri dati. Dice anche che Strava continua a sensibilizzare gli utenti rispetto all’uso degli strumenti per la tutela della privacy e della sicurezza (come?) e che
i nostri ingegneri lavorano di continuo alla semplificazione delle opzioni di privacy
È corretto questo modo di procedere? Sembra di sì, anche se la nuova normativa europea sulla privacy stabilisce l’obbligo di protezione come impostazione predefinita (privacy by default) e la possibilità di rettifica ovvero il diritto alla cancellazione dei dati in caso di revoca del consenso.
La linea del desiderio
Tutto ciò mi ricorda un articolo letto sul blog di Copenhagenize, l’agenzia di progettazione di spazi urbani in chiave di mobilità dolce fondata dal guru Mikael Colville-Andersen, che illustrava il concetto di linee del desiderio, i percorsi e le traiettorie che i ciclisti prendono spontaneamente, seguendo inclinazioni personali e del terreno, a prescindere dai limiti dello spazio ciclabile prestabilito, condiviso o in sede propria.
Mutuato dalla Poétique del’Espace del filosofo moderno Gaston Bachelard, il concetto delle linee del desiderio indica le scorciatoie, le vie alternative che chi va in bicicletta in città prende seguendo l’istinto della ruota o le pendenze che agevolano. Pare che noi ciclisti seguiamo istintivamente il flusso di corsi d’acqua anche sotterranei perché scorrono naturalmente in discesa. Sembra anche che, in Scandinavia, gli architetti del paesaggio visitino i parchi o le zone da progettare con la neve, quando le biciclette lasciano tracce e scie.

La nuova ciclo geografia
Insomma, lo studio delle tracce GPS o quelle delle ruote sulla neve, desiderate o involontariamente svelate, dà adito al disegno di una nuova ciclo geografia o di un’inedita coreografia. Se non vogliamo far parte del quadro o del balletto, bisogna semplicemente arrivare in fondo alla pagine e scrivere No.
Se volete approfondire il tema privacy sul vostro profilo di Strava, leggete questo post dal blog Strava e la nota del team di supporto.