Dalla postfazione del libro di Ilona Kamps, autrice di uno straordinario foto progetto sulla ciclista emiliana Alfonsina Strada, mi è arrivato, tempo fa, una specie di calore allo stomaco, un soffio di intuizione.
“Quella notte, mi spiegò che voleva brillare ancora una volta al Giro d’Italia. Proprio come nel 1924, quando la gente lungo il percorso dipingeva sugli striscioni il suo nome accanto a quello di Girardengo e le sue prestazioni venivano celebrate ogni giorno con nuovi aggettivi dai giornalisti della Gazzetta dello Sport. Impegnarsi allo spasimo un’ultima volta. Di nuovo come unica donna tra gli uomini… “.
L’amica ciclista Paola Gianotti, record del mondo femminile per la più veloce circumnavigazione del globo, sta per partire per il suo giro d’Italia: oltre 3000 km da Catania a Cervinia, con anello finale intorno ai Fori Imperiali, sulle stesse tappe del Giro d’Italia, ma il giorno prima. Fuori dalle recinzioni e dalla pazza folla.
Più libera, come lo fu Alfonsina. Perché quindi non dare ad Alfonsina la possibilità, con il volto per certi versi somigliante di Paola Gianotti (i riccioli neri, le sopracciglia arrotondate, le labbra sottili), di impegnarsi un’ultima volta? Perché non dare a Ilona la chance di fotografare una neo Alfonsina in bicicletta per l’Italia? Un pomeriggio di qualche settimana fa le ho messe in contatto. Un fatto che mi rende contenta.
Il Giro al femminile della ciclista Paola Gianotti
Paola e Ilona stanno per partire insieme, il 7 maggio da Catania: l’una per pedalare con la sua Cinelli e portare avanti la giusta campagna a favore della sicurezza dei ciclisti (con un ribaltamento di prospettiva: attraverso la consegna, agli automobilisti, degli adesivi “Io rispetto il ciclista”), l’altra per fotografare. Macineranno chilometri senza preoccupazioni di classifica: altimetrie infinite, strade secondarie, passi appenninici, statali trafficate, grandi salite alpine.
“La strada”, aveva scritto Dino Buzzati, nel 1948 inviato dal Corriere della Sera a seguire il Giro d’Italia, “grande nemica, lunga e dritta a perdifiato, che finisce in niente all’orizzonte o tortuosa ed erta come rupe che leva il fiato alla sola vista, fatta di sassi, polvere, fango o di bitume”, sarà lo sterminato nastro che dovranno inghiottire giorno dopo giorno, alba dopo alba.
18 tappe e 18 albe
Ilona, Paola e il team di supporto (Nicodemo Valerio, Fabrizio Malisan, Paola Blotto, il fisioterapista Donato Lecci e il mental coach Lorenzo Paoli) si sveglieranno ogni giorno alle 5 del mattino. Osserveranno le prime luci del giorno sui Templi di Agrigento, sul Mar Tirreno dalla costa calabra, sulla mole rotonda del Gran Sasso, sulla Bosco di San Francesco ad Assisi, sul delta del Po, tra le fioriture della Carnia, sulla piazza di Trento, tra i boschi della Val di Susa.
Alfonsina Strada sarà con loro, virtualmente, per tutto il percorso: le fotografie di Ilona Kamps, già raccolte nel libro Alfonsina in vendita al Museo del Ghisallo, verranno proiettate, a fine tappa su una struttura mobile e trasparente che consente anche la visione al buio e all’aperto.
Chi era Alfonsina?
Chi era dunque Alfonsina Morini sposata Strada? Donnina tenace, corridore-femmina, irriducibile pistard, la sua storia è raccontata in Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada di Paolo Facchinetti (Ediciclo, 2004), ma anche nel libro A tire d’ailes del ciclo viaggiatore svizzero Claude Marthaler. Emiliana, figlia di braccianti analfabeti, seconda figlia di 9, e della povertà, Alfonsina (Castelfranco Emilia 1891 – Milano 1959) credeva fermamente nel suo talento e nella capacità femminile di frangere le convenzioni.
Valori che la rendono tremendamente attuale. È stata la prima grande donna italiana del mondo della bicicletta.
La prima bici in cambio di galline
Annunciata da La Gazzetta dello Sport tre giorni prima della partenza del Giro del 1924 come “Alfonsina Strada”, non si sa se per sbaglio o per dolo, la verace fanciulla aveva imparato il mestiere di sarta a Bologna, ma non aveva mai cessato di correre in bicicletta, sulla Via Emilia, e su pista. “Vado a messa”, diceva. Invece inforcava la bicicletta nelle corse di paese. Una volta, non si sa come, riportò a casa, in segno di vittoria, un maiale vivo.
Era stato il padre, nel 1901, a portare a casa la sua prima bicicletta, avuta dal medico del paese in cambio di poche galline e di qualche lavoretto nell’orto. In quegli anni l’Italia contava 35 milioni di abitanti e 1 milione di biciclette. E come oggi si entusiasmava per quell’impresa totalmente irrazionale ed eroica chiamata Giro.
L’esclusione dalla classifica
Alfonsina ruppe il manubrio all’ottava tappa. Pare che in suo soccorso arrivò una portinaia cedendole un pezzo di mazza da scopa. La storia racconta che per la terza volta arrivò ultima e fuori tempo massimo. Esclusa dalla classifica, viene comunque autorizzata a proseguire. Alla fine, guadagnerà fama non eterna e 50.000 lire.