ladra di biciclette

il bike blog di una giornalista a pedali, 3° premio Blog Adutei 2019, Giornalista Amica della Bicicletta Fiab 2018

In libreria dal 20 maggio il mio primo libro sulla bicicletta

Quanti libri sulla bicicletta sono stati scritti da donne? Non mi sono presa la briga di contare, ma, nonostante la nuova ondata di volumi sulla metà rosa del ciclismo, sono senz’altro meno di quelli a firma maschile, il che mi rende particolarmente contenta. Dal 20 maggio 2021 è in libreria il mio Ho voluto la bicicletta, pubblicato con Vallardi. Un libro sulla bicicletta che ho scritto interamente in Puglia, nel 2020 della pandemia. Tra il mare, gli ulivi, le siepi di alloro e rosmarino e quell’odore di bucato spruzzato di salsedine che diffonde il maestrale, la scrittura è scaturita liscia e abbondante, pescando nella memoria, attingendo ai piccoli diari che, durante le mie passate uscite in bicicletta, avevo infilato nelle tasche posteriori delle maglie ciclistiche per prendere appunti. Sulle due ruote, dietro ogni curva, ogni volta si apriva uno spettacolo inatteso, un borgo, una foresta, una storia, un incontro. Il ritratto di un’Italia minuscola, non minore, percepita con il privilegio della lentezza, prendeva corpo gradualmente su quegli appunti a pedali che ho fortunatamente conservato.

Ho voluto la bicicletta di Mariateresa Montaruli

Ho voluto la bicicletta racconta la mia trasformazione in blogger di bicicletta, per inanellare, con lievità e ironia, storie, curiosità e idiosincrasie ciclistiche di uomini e donne. Ho dedicato la parte più cospicua del libro a itinerari ciclistici che ho effettivamente percorso, per lo più in Italia, lunghi da 30 a oltre 100 km, ognuno con un tema o un’anima, scritti con un occhio alla narrazione del territorio, l’altro al mio vissuto personale e alle informazioni necessarie per poter ripercorrere il tracciato. Di ogni percorso ho rifatto le tracce su un’app di pianificazione: scrivetemi dal modulo di Contatti di questo blog, specificando il nome del capitolo, per averla, scaricarla e ripercorrerla.

A titolo esemplificativo e come tributo alla mia terra, la Puglia, oltre all’indice, vi propongo un assaggio del libro attraverso il capitolo Il vento non si sa mai come gira. Divagazioni sulla Via Traiana o Via Francigena del Sud.

“Ho voluto la bicicletta”, il mio primo libro sulla bici

Indice

Prima parte. Come sono diventata blogger di bicicletta

  1. Quasi ladra. L’amore fulmineo per la bici vintage abbandonata
  2. Nella fucina dell’inverno. Di quando, da giornalista, mi sono auto-declassata a blogger

Seconda parte. Cose che ho imparato con la bicicletta

  1. Mai superare un uomo in bici. La regola n.1 del metodo ciclistico per essere moderatamente felici
  2. È vero che la bici ingrossa le gambe? Perché odiamo gonfiare i copertoni e altre idiosincrasie femminili
  3. Elogio delle discese. Del perché i ciclisti si esaltano per le salite e io no
  4. La battaglia con la cistite. Del perché ho resistito a togliere le mutande in bici da corsa
  5. Un giorno da pecore. Di quando ho creduto di mettere la mia border collie nel trasportino della bici
  6. Per la gioia vale la pena combattere. Di quando ho insegnato ad andare in bici a un gruppo di donne nordafricane
  7. Alfonsina, eroica sartina. L’unica donna ciclista al Giro d’Italia
  8. Volevo una maglia rosa. Storia del colore più virile che c’è
  9. La prima bicicletta della Storia. Di quando, a Mannheim, mi sono imbattuta in un certo barone Karl Drais
  10. Orientamento senza GPS. La volta in cui ho imparato a cercare il Nord sui tronchi degli alberi

Terza parte. Esperienze a pedali

13 Friuli Venezia Giulia

La strada ciclistica più bella che c’è. Dalle Valli del Natisone ai vigneti del Collio

Dalla zuppa di funghi di Tarvisio al brodetto di Grado, in tre giorni. Sulla Ciclovia Alpe Adria, antica Via dell’Ambra

Chi ha paura dello Zoncolan? Nella Carnia degli orologi, la montagna fortunatamente dimenticata

14 Alto Adige

La mia prima Maratona dles Dolomites. Dopo quella vista alle 6 di mattina alla tv

Quindici milioni di fiori di melo. In Val Venosta, sulla ciclabile ideale

15 Alto Adige e Veneto

L’istinto dell’acqua. Sulla ciclovia del desiderio, la Monaco Venezia

16 Trentino

Gli alberi amici di Stradivari. Tra gli abeti rossi della Val di Fiemme

17 Veneto

Bollicine ciclabili. Le Colline del Prosecco, Patrimonio dell’Umanità

18 Lombardia

La Madonnina ignuda che protegge i ciclisti. Pellegrinaggio al Colle del Ghisallo

 Il rammendo delle periferie. Sull’Alzaia del Naviglio Grande, l’allenamento classico dei ciclisti milanesi

19 Piemonte

Pedalando tra le nuvole del Paradiso. Sulla salita del Colle del Nivolet

Forest Bathing in bicicletta. Sulla Panoramica dell’Oasi Zegna

Alla ricerca del tartufo di Marilyn Monroe. Nelle Langhe tristi e bellissime

20 Liguria

La terra dove si pesca l’uva. In bici da corsa nelle Cinque Terre

21 Emilia Romagna e Toscana

Il posto del foliage. Tra le foreste sacre del Casentino

22 Emilia Romagna e Marche

Il Carpegna mi basta e avanza. Itinerario nel Montefeltro, con le donne di Terrabici

23 Emilia Romagna

In bicicletta a casa di Lucio Dalla. Mentre io pensavo solo ai tortellini

Il posto degli spaventapasseri femmina. Tra i Castelli del Ducato di Parma e Piacenza

24 Toscana

La mia Eroica bagnata. Di quella volta in cui ho scambiato un manubrio anni ’70 con un reggiseno nuovo

Sul carro scopa di Dynamo Camp. Di come ho perso la dignità e trovato un tesoro

Bicigrina per un giorno. Un assaggio di Via Francigena

25 Umbria

Là dove c’era un binario c’è una ciclabile. Sulla Spoleto Norcia in mountain bike

26 Puglia

Il vento non si sa mai come gira. Divagazioni sulla Via Traiana o Via Francigena del Sud

Alla ricerca del fico più dolce. Tra i muretti a secco della Valle d’Itria

27 Basilicata

L’incanto dei burroni. Da Matera ai Calanchi lucani

 28 Sardegna

Mucche, fili d’angelo e infinito silenzio. Sui tornanti dell’Orientale Sarda

29 Sicilia

Il deserto di lava ti stregherà. Circumnavigando l’Etna

30 Paesi Bassi

Il posto più strano dove abbia pedalato. Rotterdam sott’acqua

31 Francia

Il mio doppio Col duTourmalet. La milonga sul passo ciclistico più ambito dei Pirenei

La numero uno del cicloturismo europeo. Da Nantes a Saint-Brevin-les-Pins, lungo la Loire à vélo

32 Austria

Cittadina della Bike Republic. In Ötztal, la valle amica delle mucche e delle biciclette

33 Croazia

L’isola della lavanda. Hvar fuori dai sentieri più battuti

34 Grecia

Dall’Acropoli al mare, in bella compagnia. Atene in bicicletta

Puglia. Il vento non si sa mai come gira. Divagazioni sulla Via Traiana o via Francigena del Sud

In Puglia mi dimentico di essere su una penisola. In questa lunga striscia di terra che si spinge tra lo Ionio e l’Adriatico, il mare si sente dappertutto, quasi fosse un’isola. Sarà per questo che ho passato l’estate del 2020 in un eremo di campagna, osservando ogni giorno la direzione del vento, come se dovessi salpare. Lo scirocco di sudest ha bussato poche volte alla mia porta con il suo carico di umidità. Da sudovest, il libeccio si è affacciato per appena due giorni portando con sé un bottino di pioggia e mare piatto. Il maestrale, lui sì che mi ha fatto compagnia, ingrossando le onde di giorno, rinfrescando le sere con quell’odore di bucato fresco spruzzato di salsedine.

Controvento, in bicicletta il maestrale l’ho incrociato più volte sulla trama antica dei tratturi tra Torre Egnazia e Torre Canne, i confini di una delle mie mappe ciclistiche, dove avevo sempre a vista il mare da un lato, la Selva dall’altro. Era impossibile perdersi. Partivo da una masseria impastata di sole e calce, fuori Fasano, dove un tempo si lavorava l’ulivo e il mandorlo, si proteggeva l’uva dal maestrale e si frangevano le olive nel trappeto in grotta, al riparo dalla luce accecante del sud. Dalla torretta fortificata, di notte, spente le lucerne, ci si difendeva dal briganti. Di giorno, si metteva la pagnotta a lievitare nel gran letto degli sposi, tra i guanciali e i medaglioni smaltati spiati da una Madonna di cartapesta.

Mi trovavo al confine penetrabile tra il mondo greco e quello latino, tra il mare e la piana agricola. Le volte mi accoglievano come un utero bianco. Camminavo scalza nella terra rossa che striava il bianco delle zampe di Laya. Scrivevo e spazzavo le chianche di pietra calcarea davanti alla mia porta. Danzavo alle quattro direzioni, all’ombra degli ulivi. Mi sentivo comoda. Il Sud è una terra ricorsiva: entra in gioco quando sento il bisogno di tornare a casa o di guarire una qualche forma di malessere. Densa e pastosa come le pareti di calce e le pale dei fichi d’India, la Puglia guarisce uno dei più diffusi malesseri urbani, la deprivazione sensoriale. Ero qui per curare la fine di un ciclo. Per iniziare, in solitudine creativa, una nuova narrazione di me.

Dopo un’estate ventosa, l’autunno mi accolse con le melegrane e le primissime cime di rape raccolte da una contadina vicina di casa. Decisi di restare. Erano trent’anni che non mi lasciavo avvolgere dai tepori di un autunno in Puglia. D’estate, ho pedalato tra i muretti a secco che grondavano fichi e more, in ascolto del fraseggio del vento. Nei mesi successivi, sono andata in bicicletta tra le vigne con le foglie accartocciate e le olive che assumevano i colori dell’occhio della sardina: l’azzurro, il rosa, il verde, il lilla. Scrutando a ogni incrocio i toponimi delle contrade – Forcatella, Torre Spaccata, Monte Pizzuto, Occhio Piccolo, Pettolecchia, Lamascopone -, la geografia che mi piace e che sa di antico.

Ho pedalato seguendo la Via Traiana, quel che ne resta o si suppone che sia stato. Tra il 108 e il 110 d.C., con l’intento di agevolare i viaggi verso Oriente, Traiano lastricò con la pietra locale i fossati e i terreni più fangosi. Dove la via sembrava lunga, ne tracciò una più breve; dove saliva irta, ne individuò una più dolce, come è mostrato sulla Tavola Peutingeriana, la copia del XII secolo di un’antica pergamena romana che segnava le strade in rosso e le terre in giallo. Antico tratto viario alternativo all’Appia, la Traiana univa, spostandosi su una traiettoria costiera, la città di Benevento al porto di Brindisi. Utilizzata fino alla metà del VII secolo, dal Medioevo in avanti si chiamò anche Via Francigena del Sud, fondata, questa, in realtà, sul percorso annotato a mano da un anonimo pellegrino burdigalense, da Otranto, via Roma, fino a Bordeaux, compiuto nel 333 d.C.

In poco più di 300 chilometri, la Via Traiana che stavo cercando in bicicletta raccordava Benevento ai porti pugliesi per Gerusalemme, toccando anche Bari, Monopoli, Egnazia, Savelletri, Torre Canne, la marina di Ostuni e Torre Santa Sabina, i luoghi della mia estate e dell’autunno 2020. Nelle stratificazioni della Storia, molto è andato perduto. Gli unici resti visibili della Via sono racchiusi nel sito archeologico di Egnazia, esattamente tra la piazza e le terme, da cui in bicicletta sono passata quasi ogni giorno.

Uscita dalla Masseria Alchimia, in contrada Fascianello, dove mi ero più o meno nascosta, seguivo la strada asfaltata Contrada Lamalunga che, oltrepassando il passaggio a livello, puntava al mare tra i muretti, gli uliveti e gli orti diffusi. Dopo nemmeno 4 chilometri di morbidissima discesa, mi immettevo nel tracciato ritrovato, non filologico, della Via Traiana puntando alla cittadella archeologica di Egnazia, del V secolo a.C., per Orazio “costruita su acque tempestose”. Sfilavo sulla strada costiera SP90 tra quelle antiche pietre: i resti di un tempio, di un anfiteatro e di una basilica paleocristiana, oltre al basolato del tracciato originario della Traiana che divide gli edifici pubblici e le botteghe artigianali della città romana. Prima del porticciolo di Savelletri, piegavo a sudovest, in Contrada Masciola, per poi immettermi nuovamente sulla Traiana, indicata come strada Comunale San Domenico, puntando a sudest, in piena campagna, tra le contrade Pettolecchia e Cerasina.

Parallela alla più trafficata via del mare, la strada, da qui in avanti, per circa 9 chilometri di spaesamento rurale, si stringeva diventando poco più che un largo tratturo delimitato dai muretti a secco, tra piccole masserie bianche e uliveti immensi. Qua e là appariva un carrubo contorto o un fico che cominciava a perdere le foglie. Più a sud, dopo Torre Canne e il suo faro, avrei trovato le Dune Costiere, un’area naturale protetta di arenili, canneti, macchia e steppe. Quasi sempre però, richiamata dalla forza gravitazionale degli ulivi spaccati, attorcigliati e piegati dal maestrale, tornavo indietro da una straduzza parallela, la SP3 che attraversava le contrade Cerasina e Pettolecchia, sbucando sulla Savelletri – Fasano, la SP4.

Dopo appena 2 chilometri in direzione mare, all’indicazione Masseria Cimino e Borgo Egnazia svoltavo a sinistra sulla Strada Comunale Egnazia o via degli Scavi, volta a nordovest. Una selva di fichi d’India, melograni, orti e carrubi mi scortava sulla strada Contrada Egnazia che mi riportava verso il passaggio a livello, quindi a casa. Il giro era di appena 29 chilometri con 210 metri di dislivello, con un’unica salitella gentile, di 4 chilometri, nella parte finale. Un breve percorso adatto a tutti, il migliore che potessi scegliere dopo aver esplorato ogni contrada. Nelle mie uscite, ogni tanto incontravo il maestrale. Lo sentivo negli occhi che bruciacchiavano e nelle gambe. Ma il vento gira, mi dicevo. Come su un’isola. No, la Puglia che mi ha curato l’anima non è affatto una penisola.

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