Non beveva Martini secco. Non anteponeva il cognome al nome. Non aveva mai visto Ursula Andress spuntare, in bikini e coltello, dalle acque di Ocho Rios. Della Giamaica, isola delle Grandi Antille grande meno della metà della Sardegna, osservava gli uccelli piuttosto che gli shaker ai bar. A dispetto del mito, il vero James Bond, l’uomo che ispirò Ian Fleming nella scelta del nome di 007, era un semplice ornitologo di Filadelfia, autore, nel 1936, del volume Birds of The West Indies.
Inviato dell’agenzia di stampa Reuters, comandante a servizio del British Naval Intelligence, Fleming era un birdwatcher dilettante. La Giamaica delle cascate nella giungla e delle piantagioni di caffè dove arrivò per la prima volta nel 1942 ben si prestava alle sue osservazioni naturalistiche.
Ritorno in Giamaica dove è nato James Bond
Dal covo segreto di Goldeneye (libera interpretazione del toponimo Oracabessa, cabeza de oro), dove scriveva 2.000 parole al giorno, le persiane ben chiuse per evitare distrazioni, diede al suo 007 il nome di Bond: “un nome anglosassone”, come spiegò in una lettera alla moglie del vero ornitologo, “poco romantico e il più ordinario possibile”, comunque facile da ricordare.
Nasceva così Casinò Royale, il primo dei 14 libri sulla spia a servizio di sua Maestà. Il film, del 1967, fu un flop colossale nonostante il cast stellare composto da David Niven, Peter Sellers, Woody Allen e Jean Paul Belmondo. Al primo titolo seguirono Vivi e lascia morire, Moonraker e Una cascata di diamanti ambientato nel mondo del contrabbando internazionale di diamanti, una spy story che esordisce nelle miniere della Guinea Francese per giungere a Londra, Las Vegas e New York. Il film, realizzato nel 1971 e girato anche nei casinò di Las Vegas, registra l’ultima interpretazione di Sean Connery che aveva esordito nel ’62 con Dr. No, oltre a un curioso aneddoto sul 17 nero.
Lo stesso è accaduto per Daniel Craig in No time do die, ultimo 007 che l’attore ha deciso di interpretare, in uscita in aprile del 2020, con Rami Malek e Lea Seydoux, girato in Giamaica, a Londra e nei Sassi di Matera, come si vede nel trailer ufficiale.
Martini dry, agitato non mescolato
Erede di tutte le manie dell’autore (sigarette Morland Special e Martini Dry “agitato, non mescolato” come Fleming aveva visto fare da un barman di Berlino), l’Agente 007 prese vita in 8 settimane, nel 1952, nella villa sulle rocce che Fleming si era costruito a Oracabessa, 13 chilometri a est di Ocho Rios, dove si trovava un vecchio ippodromo per le corse degli asini.
Spartano al punto giusto, il cottage aveva un tavolo da canasta, le chaise-longue coloniali, un grande letto di bambù, le zanzariere, l’immancabile scrivania e le finestre con le persiane prive di vetrate per assicurare una buona ventilazione.
Goldeneye, esclusivo covo di minimalismo tropicale che oggi si affitta con il nome di The Fleming Villa, distava 10 miglia dalla casa rifugio dello commediografo e regista inglese Noel Coward, in collina, in posizione spettacolare. Un flusso incessante di celebrità, tra cui Katherine Hepburn, Errol Flynn, Donald Sutherland, Truman Capote e Graham Greene, faceva la spola tra le due ville.
La grazia mascolina di Connery, troppo “grossolano”
Erano tempi non sospetti: Ursula Andress, Venere nascente dalle lagune del Tropico, non aveva ancora fatto capolino nella spiaggia privata di Laughing Waters, a Ocho Rios, davanti a uno stupefatto Sean Connery, in Agente 007 Licenza di uccidere. Per la cronaca: trentadue anni, ex Mister Universo, un metro e 90 di puro fascino, lo scozzese Connery era stato scelto dai produttori di Dr. No per la sua “grazia mascolina” nonostante Fleming lo trovasse “grossolano”: il budget non consentiva l’ingaggio del favorito Cary Grant.
Sarebbe mai sorto il mito stellare di Bond senza queste spiagge? “Senza il vuoto meraviglioso di una vacanza giamaicana? Ne dubito”, rispondeva l’autore. Il mito non si è ancora esaurito, né la storia di Goldeneye che continuò anche senza Fleming.
La villa di Goldeneye che Bob Marley non acquistò
Fu Chris Blackwell, il discografico impresario della multimiliardaria Island Records, a proporre a Bob Marley l’acquisto della villa di Oracabessa. Il profeta del reggae rifiutò ritenendola troppo snob. E sul contratto di compravendita, al posto del nome di Marley, finì quello di Blackwell. Il resto è risaputo.
Tuttora proprietario, l’abile imprenditore dei Wailers finì poi per vendere alla Polygram il pacchetto discografico di Island Records (oltre a Marley, gli U2, i Roxy Music, Grace Jones). Con il ricavato mise in piedi una catena di boutique hotel, gli Island Outpost che sono tuttora il fiore all’occhiello dell’ospitalità giamaicana romantico-chic: Goldeneye, Strawberry Hill nel cuore delle Blue Mountains e The Caves a Negril.
Pensare che il primo albergo di Ocho Rios, lo Show Park Hotel era stato costruito nel 1923 per dare la buona notte dei commercianti di banane provenienti da Boston, unici turisti di allora. Pensare che quel nome, James Bond, doveva risultare meno mitico possibile…
NB Quando andare in Giamaica: da metà dicembre a metà aprile quando le piogge sono al minimo e il caldo è temperato dagli Alisei. Da evitare settembre e ottobre per la piovosità e il rischio di uragani.