L’ondata polemica che ha travolto il calcio, dopo la scelta di far giocare il 16 gennaio, a Gedda, in Arabia Saudita, la finale della Supercoppa italiana tra Juventus e Milan, mi induce a fare una riflessione sulla condizione della donna in quel Paese e la sua relazione con la bicicletta. I fatti dicono che la partita, frutto di una offerta commerciale rivelatasi più interessante di quelle pervenute da Doha, Cina e Toronto, si giocherà in uno stadio di oltre 62.000 spettatori di capienza dove le donne potranno accedere solo in alcuni settori riservati alle famiglie, ovvero solo se accompagnate da un uomo: padre, marito, fratello. I posti migliori sono ovviamente riservati agli uomini. Una limitazione che sembra assurda, ma che, fino a un anno fa, non si poteva nemmeno dare per scontata: in Arabia Saudita le donne possono entrare negli stadi di calcio di Riad, Gedda e Damman solo dal gennaio del 2018. Del giugno dello stesso anno è il permesso concesso alle donne di richiedere la patente di guida. Prima di allora non potevano guidare alcun messo di trasporto motorizzato. Le prime 10 patenti sono state rilasciate a donne che già possedevano una licenza di guida ottenuta all’estero. Delle 2000 successive richieste non si hanno ulteriori notizie.
Il girotondo delle biciclette
E’ anche noto che andare in bicicletta, per le donne, in Arabia Saudita, è legale solo dal 2013, ma “only around in circles”, titolava con una sottile ironia il Guardian di qualche tempo fa: praticamente giocando a girotondo. Ovvero, in aree ricreative circoscritte, parchi, cortili o giardini, solo se accompagnate da un uomo e se vestite, secondo la modestia che l’Islam impone all’estetica, con la lunga tunica detta abaya, l’unico abbigliamento consentito alle donne in pubblico, nera o colorata.
A questo proposito leggi anche l’articolo sulla Giornata contro la violenza sulle donne.
Piccolissime concessioni? Sì. La politica riformista del principe trentaduenne Mohammed bin Salman, intenzionato a modernizzare il Paese e a sganciarlo dalla dipendenza dal petrolio, ha di recente allentato alcune restrizioni sociali riaprendo dopo 40 anni i cinema, sponsorizzando concerti pubblici, consentendo alle donne di guidare e di entrare negli stadi. L’epicentro di questi piccoli grandi cambiamenti è Gedda, dove si giocherà la controversa partita di calcio. Nelle zone più remote e desertiche del Paese le donne non hanno accesso nemmeno ai diritti più elementari. Nel frattempo, grazie a questa “politica riformista”, lo scorso aprile 2019, Gedda ha assistito alla prima competizione ciclistica femminile: all’interno della Città dello Sport, su una distanza di 10 km, con una settantina di partecipanti tra cui le ragazze del primo team ciclistico dell’Arabia Saudita, la squadra femminile HerRide.
Perché in Arabia Saudita le donne in bicicletta fanno paura?
- Dal punto di vista estetico, una donna in bicicletta, nei paesi islamici, sfida il comune senso del pudore, ostenta le forme e nega la modestia che l’Islam impone all’abito femminile.
- Dal punto di vista dei costumi sociali, andare in bicicletta è considerato immorale, offensivo e sconveniente.
- Sconveniente è muovere le gambe liberamente, invece di tenerle chiuse, vicine, coperte e immobili.
- Ancora più grave è il fatto che in bicicletta le donne diventano libere di andare e venire, di riappropriarsi del corpo, del tempo e dello spazio per sé. E’ una questione di consapevolezza ed empowerment.
- In bici diventiamo tutti uguali. Un fatto che in alcuni paesi è vietato, in altri tollerato.
La Supercoppa controversa
Mentre in Italia la macchina organizzativa calcistica non si ferma, c’è chi afferma che chi accetta le discriminazioni ne diventa complice. C’è anche chi guarda con occhio positivo il fatto che anche le donne, da un anno, possano finalmente entrare negli stadi. Io mi schiero con chi condanna queste operazioni di natura squisitamente commerciale come la partenza del Giro d’Italia da Gerusalemme. Dico anche che per noi giornalisti queste sono occasioni per accendere ancora una volta i riflettori sulla condizione delle donne arabe e sulla delicata questione dell’emancipazione femminile.
Uomo, tutore e guardiano
Dopo il rilascio delle prime patenti di guida e l’organizzazione della prima gara ciclistica (all’interno dello spazio circoscritto della Città dello Sport, ben inteso…), il tema caldo in Arabia è quello del sistema di guardiania: le donne saudite sono tutte affidate a un tutore-guardiano di sesso maschile (marito, padre, fratello, zio). Secondo Human Rights Watch, questo è “l’impedimento più grande” all’emancipazione della donna in Arabia Saudita. Tale sistema rende praticamente impossibile alle donne vittime di violenza domestica o di stupro ottenere giustizia legale: anche per una semplice denuncia, hanno bisogno del tutore-guardiano. E se violento fosse proprio il guardiano? La campagna su #IamMyOwnGuardian ha smosso in parte le acque: senza tutore, le donne possono adesso iscriversi all’università e sottoporsi a un intervento chirurgico.
La bicicletta verde
La stessa Haifaa Al Mansour, regista del delicato La Bicicletta verde (2012, diventato un libro nel 2016), che racconta la tenacia messa in atto da un’undicenne di Riad, in Arabia Saudita, per avere la sua prima bicicletta, dovette girare alcune scene del film con una radiolina walkie talkie visto il divieto di intrattenersi per strada con gli uomini della troupe cinematografica. Al film, essendomi io stessa innamorata di una bicicletta verde, come racconto in Perché questo blog sono particolarmente legata.
Questo video, a proposito di pallone e sottomissione, purtroppo parla chiaro. Si tratta di un regime di apartheid di genere.
Cosa è ancora vietato alle donne in Arabia Saudita
Chi guarderà la finale della Supercoppa comodamente sdraiato su un divano, si ricordi che alle donne, in quel Paese, sono ancora vietate molte cose. Eccole.
- Indossare abiti o trucco che evidenzino la loro bellezza. In pubblico le donne devono indossare una specie di tunicone, l’abaya, e una sciarpa in testa. Il viso non deve essere necessariamente coperto.
- Interagire e intrattenersi con uomini non appartenenti alla propria cerchia familiare. Per questo, la maggioranza degli edifici pubblici, università incluse, hanno entrate separate. Spazi riservati, come lo era per l’Apartheid in Sudafrica, sono previsti sugli autobus, nei parchi e sulle spiagge.
- Usare piscine pubbliche. Le donne non sono ammesse nelle piscine aperte agli uomini, né nelle Spa o nelle palestre degli alberghi frequentate dall’altra metà del cielo.
- Provare gli abiti durante lo shopping.
Sopresi? Sappiate anche che le donne in Arabia Saudite possono entrare in un cimitero da sole solo da morte. Supervietata, la Barbie non è in vendita nei negozi, meno che meno nella stessa scatola con Ken. Ma la finale, bici o non bici, si farà.