ladra di biciclette

il bike blog di una giornalista a pedali, 3° premio Blog Adutei 2019, Giornalista Amica della Bicicletta Fiab 2018

Ansia da quarantena e Coronavirus: i consigli di una psicoterapeuta

Un’ansia contenuta e adeguata”, coerente con i tempi, che non può essere consolata da baci e abbracci e che ci costringe, in moli casi anche soli, a casa. Questo è, secondo la psicoterapeuta Elsa Visentin, l’atteggiamento generale prodotto dall’emergenza Coronavirus. “L’ansia è un sentimento che l’essere umano prova davanti a situazioni che non sa gestire e di cui non riesce a prevedere la fine. Che non significa eccesso di paura che porta al restringimento totale della vita, all’immobilismo, al congelamento delle capacità di risolvere, anche creativamente, le problematiche con cui ci confrontiamo”. Come scrive la psicoterapeuta Maria Puliatti del direttivo della Società per lo studio dello stress post traumatico nel documento Covid-19: tecniche brevi per gestire la paura, il nostro sistema nervoso risponde allo stress in 3 modi corrispondenti agli stadi attraversati nel corso dell’evoluzione:

  1. Immobilizzazione: la reazione più antica si attiva in situazioni di pericolo estremo causando l’immobilità del nostro corpo (spegnimento emotivo, disperazione). L’altra faccia dell’immobilizzazione è l’iperattivazione.
  2. Mobilizzazione: ci mobilizziamo di fronte a un pericolo collettivo reagendo o con risposte di cosiddetto attacco o fuga (il classico bisogno di muoversi o di fare sport), o con un maggiore bisogno di controllo, manifestazioni di irritabilità e rabbia eccessiva.
  3. Ingaggio sociale: la reazione più evoluta del nostro sistema nervoso si manifesta quando ci sentiamo connessi agli altri e al contesto. Un fatto messo a dura prova dalle restrizioni di contenimento che aumentano il senso di isolamento.

Adesso siamo a casa, senza sapere quanto la quarantena durerà. “In questa situazione, per le persone non azzerate dalla paura, l’ansia contenuta è anche una spinta al cambiamento, al chiedersi come sarà quando ne usciremo. Sono invece fragili rispetto alla paura le persone meno risolte a livello relazionale, nel lavoro e negli affetti”. C’è dell’oro, in questo tempo strano, forse ci sono doni, pepite per noi se ci aiutiamo, ha scritto Mariangela Gualtieri, la più grande poetessa italiana contemporanea, nella lirica Nove marzo duemilaventi. “Questo è anche un momento”, sottolinea Elsa Visentin, “in cui si possono cogliere capacità e risorse che non pensavamo di avere”.

Felice Casorati Bambina che gioca su un tappeto rosso (particolare)
Felice Casorati, Bambina che gioca su un tappeto rosso (particolare)

A Elsa, di cui conosco l’equilibrio, la carica di empatia e la capacità di essere creativamente fuori dagli schemi, ho chiesto, in un momento così delicato, qualche consiglio per la gestione dell’ansia, affinché possa essere il più possibile e compatibilmente con il contesto, contenuta. Ecco le sue parole, in ordine sparso.

10 consigli per la gestione dell’ansia da Coronavirus

  1. Attivare il senso di responsabilità sociale. Ognuno di noi ha, in questo momento, un ruolo preciso a livello sociale. Questo sentimento è positivo e va rafforzato ai nostri stessi occhi. Significa assumersi la responsabilità dei propri comportamenti, sentirsi parte di una comunità, azzerare i confini del proprio orticello (nonostante il confinamento fisico!).
  2. Mettere a posto. È la prima cosa che fanno le donne. Nelle situazioni improvvise e catastrofiche, fare pulizie e buttare via il vecchio equivale a prepararsi al cambiamento. Lo fai perché hai più tempo. Facendo ordine recuperi cose che non sapevi più di avere ed elimini ciò che non ti servirà più. Aggiungo alle parole di Elsa che “Lavare è un rito di purificazione senza tempo”, come scrive in Donne che corrono con i lupi Clarissa Pinkola Estés, “così una donna saggia tiene sgombro il suo ambiente psichico”. Tra le amiche, ho sentito di chi fa molte pulizie in casa, chi vuole finalmente mettere in ordine le foto di famiglia, chi ha un improvviso bisogno di comprare una nuova lavatrice… Scrive l’autrice (ignota) del blog Nessunodicelibera, probabilmente un’anestesista impegnata sul fronte Cornonavirus in un ospedale piemontese: “Ci voleva un’epidemia contagiosissima di un virus proveniente da un paese misterioso per resettare gli equilibri e riportare i ruoli e le competenze nel loro giusto ordine, un po’ come quando si fa un trasloco e si mette a soqquadro la casa e, finalmente, nel posto che mai avresti pensato, ritrovi quel braccialetto o quel fascio di fotografie preziose che ti aveva addolorato aver perso”.
  3. Darsi una struttura. Gestire la propria giornata, darle una struttura, che si sia in smart working, con i figli o liberi da impegni di lavoro. Primo Levi, scampato ai lager, raccontò nei suoi scritti che si faceva la barba ogni giorno, nel lager. Usando dignità, decenza e senso di sé, è bene alzarsi, lavarsi, fare colazione e avere idee sul come affrontare la giornata anche quando si presenta come un mix di faccende di casa, smart working e aiuto ai figli che studiano online. Darsi una struttura e delle regole aiuta a non smarrirsi, ci dà motivazione. Chi non è sopraffatto dal mix casa-lavoro-figli può pensare di leggere, scrivere, cucinare qualcosa che piace, fare per la prima volta il pane, occuparsi dei fiori sul balcone o del proprio giardino.
  4. Overdose informativa. Evitare l’inflazione psichica: non saturarsi, tutto il giorno, di notizie sul Coronavirus. Informarsi 2 volte al giorno, ma evitare di intossicarsi. Aggiungo alle parole di Elsa: evitare di riversare sui social emozioni negative e destabilizzanti, o notizie non verificate.
  5. Il rito e la pratica. Trovare uno spazio, all’interno della propria giornata, per fare meditazione, svuotare la testa, sentirsi radicati, osservare un fiore o un albero, ascoltare buona musica. Leggo nel prezioso volumetto Il silenzio è cosa viva di Chandra Livia Candiani, che “nella stanza della meditazione, impariamo a essere qui. Niente di speciale. Ascoltare come siamo, assaporarlo. La stanza con i suoi muri, il pavimento, ci fa da contenitore. Si porta l’attenzione al respiro così com’è, si riceve il respiro. L’attenzione è morbida, tenera, eppure salda e determinata, simile a quella che avremmo per una farfalla: se la stringessimo la uccideremmo, se non la tenessimo con attenzione sfuggirebbe”.
  6. Sviluppare la fiducia. L’ansia riguarda anche gli aspetti economici e la paura di perdere il lavoro. Occorre sviluppare la consapevolezza che viviamo in una società civile e che saranno messe in atto misure di sostegno.
  7. Aiutarsi con farmaci e fitoterapia. Se l’ansia diventa eccessiva e si soffre in modo patologico, è corretto farsi aiutare.
  8. Recuperare il rapporto con i figli. Essere in casa significa tornare a giocare e a parlare con i propri figli. Questa è anche un’occasione per ristabilire autorevolezza e autorità, se necessaria. E per ribadire il concetto che non solo i giovani hanno diritto a momenti di felicità, ma tutti.
  9. Solidarietà. Essere presente, almeno telefonicamente, con chi è solo. Sviluppare empatia con chi soffre di più o è in effettiva necessità.
  10. Rimettere le cose in prospettiva. Dare il giusto valore al tempo, stare più calmi, recuperare ritmi di vita più naturali e sostenibili. Una volta superata, l’emergenza Coronavirus potrebbe cambiare le cose in meglio. Scrive Mariangela Gualtieri: “A quella stretta di un palmo col palmo di qualcuno, a quel semplice atto che ci è interdetto ora noi torneremo con una comprensione dilatata. Più delicata la nostra mano starà dentro il fare della vita. Adesso lo sappiamo quanto è triste stare lontani un metro”.

La finestra di tolleranza: impariamo a riconoscere le nostre reazioni

Leggo inoltre sull’opuscolo Noi, la pandemia e gli altri a cura del Servizio Diagnosi e Terapia del Trauma Psicologico – Studio Associato ARP di Milano, che “la pandemia da Coronavirus non ci mette di fronte a un oggetto concreto della paura: il Covid19 non si vede“. Di fronte a questa minaccia non esiste una reazione normale o giusta. Si può, però, essere consapevoli della nostra stessa risposta, così da padroneggiarla. Sotto attacco, il corpo e il cervello reagiscono di conseguenza: il cervello risponde al segnale di pericolo intimando all’organismo di difendersi. “Se viviamo una situazione di normalità e ci sentiamo al sicuro, il nostro livello di attivazione e di energia fluttua all’interno di un’area ottimale definita ‘finestra di tolleranza‘. Lì dentro ci sentiamo:

  • orientati nel tempo e nello spazio
  • presenti a noi stessi e radicati
  • padroni delle situazioni
  • capaci di elaborare efficacemente le informazioni
  • abili a contenere le sensazioni e le emozioni
  • in grado di usare il pensiero
  • possiamo e sappiamo chiedere aiuto

Esposti al pericolo, la capacità di rimanere dentro la finestra di tolleranza può ridursi. Oltre i confini della finestra ci sentiamo fuori controllo. Da questo dipende l’aumento generale dell’energia, l’attivazione dell’attenzione per orientare l’organismo al pericolo creando le condizioni per agire”. Modalità che si definiscono di attacco e fuga e che possono tradursi anche in uno stato di paralisi. Nello stato di quarantena in cui ci troviamo significa tenere un ritmo di molteplici attività, “come se non ci fosse permesso di fermarsi. Il corpo si oppone alla possibilità di riposare“. Accade quando viene coinvolto il sistema nervoso autonomo simpatico. Al contrario, l’intervento del parasimpatico che si occupa del risparmio e ripristino dell’energia, determina un rallentamento della frequenza cardiaca e l’inibizione delle reazioni di difesa. Ci si può sentire scarichi o apatici, distaccati dagli altri e poco sensibili.

“Riepilogando, gli esseri umani sono fatti in modo tale che, per dedicarsi alle cose che rendono bella la vita – apprendere, accudire, amare, prendersi cura di sé, lavorare in modo produttivo -, hanno bisogno di sentirsi al sicuro. La situazione attuale, che propone un pericolo reale e costante, tende, quindi, a spingerci continuamente fuori finestra, oscillando dentro e fuori”. La quarantena inoltre, non ci consente di mettere in atto le nostre difese più evolute, quelle che trovano nel coinvolgimento sociale e nell’accudimento un enorme fattore di protezione rispetto alla paura e al pericolo.

“La relazione, indispensabile alla salute mentale e alla sensazione di sicurezza, diventa veicolo di contagio. Lo stress cui siamo sottoposti è enorme e unico. Imparare a riconoscere i segnali (fisici, emotivi o comportamentali) della nostra attivazione è necessario, perché se ci accorgiamo di trovarci fuori dai margini della finestra di tolleranza possiamo imparare ad adottare comportamenti adattivi“, esercizi di regolazione che ci fanno rientrare nella finestra di tolleranza. 

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