Esce oggi 21 gennaio, 6 giorni prima prima della Giornata della Memoria, il volume edito da Castelvecchi L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata, firmato dallo storico Stefano Pivato (già autore di La storia sociale della bicicletta e in procinto di pubblicare con Il Mulino La Felicità in bici) con il figlio giornalista scientifico Marco. La tesi di fondo, distruttiva di una certa memoria condivisa, è che “nella storia del salvataggio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, il campione toscano non ha alcuna responsabilità. Infatti, a parte rari e isolati accenni, la costruzione di quella vicenda risale agli anni successivi alla sua morte”, avvenuta nel 2000. “Una serie di memorie ripescate a decenni di distanza, di sentito dire, di sussurri e supposizioni di seconda e di terza mano”, si legge nel libro, hanno contribuito a trasformare una favola in realtà. I fatti, secondo Pivato non sostenuti da documentazione, prove, testimonianze dirette o alcun resoconto fatto in persona da Bartali quando era in vita, restano un enigma.
Le staffette di Bartali da Firenze ad Assisi
La “favola” racconta che negli anni 1943-44, durante l’occupazione nazista, incaricato dal cardinale di Firenze Elia dalla Costa e dal rabbino Nathan Cassuto, Gino Bartali abbia compiuto, mentre effettuava i suoi allenamenti, viaggi-staffetta tra Firenze e Assisi, nascondendo nei tubi del telaio della sua bicicletta da corsa documenti e carte d’identità falsificate da una tipografia di Assisi. Un’azione eroica, mai rivelata dal campione, profondamente devoto e cattolico (e in odore di beatificazione), che contribuì a salvare circa 800 ebrei. Nel luglio del 2013, come è noto, il toscano viene dichiarato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il Memoriale dell’Olocausto di Gerusalemme. All’epoca è l’ultimo di una lista di 563 Giusti di nazionalità italiana. Ed è una curiosa coincidenza, nota Pivato, che i Mondiali di Ciclismo di quell’anno si tennero proprio in Toscana, a Firenze, un paio di mesi dopo.
Un campione anti-fascista
Non nuovo all’argomento ciclismo, il professore di Urbino Pivato aveva già firmato nel 1985, con Edizioni Lavoro, il volume Sia lodato Bartali focalizzato sul Bartali eroe cattolico. Non riferito al salvataggio degli ebrei, il titolo è ripreso da un articolo del Resto del Carlino del 25 luglio 1948 che annuncia, pochi giorni dopo l’assassinio di Togliatti, la vittoria del campione al Tour de France. Un risultato che servì a placare gli animi. “A metà degli anni 1930”, ci dice il professore, “Bartali rappresentava un modello alternativo al campione fascista propagandato dal regime”: era un uomo buono, modesto e devoto della Madonna cui dedicava le sue vittorie. Più che un anti-campione, era soprattutto un antifascista. Un eroe guardato con fastidio dal Regime.
Il viaggio dalla Toscana a Gerusalemme
La seconda edizione del libro di Pivato, del 1996, con lo stesso editore, non muta la sostanza dei contenuti. Bartali sarebbe morto nel 2000 e solo nel 2005, anno in cui viene istituito il Giorno della Memoria nella data, il 27 gennaio, in cui, nel 1945, l’Armata Rossa entrava ad Auschwitz, si cominciò timidamente a vociferare dell’appartenenza del ciclista alla rete di salvataggio degli ebrei. In quell’anno, il Consiglio Regionale Toscano inviò una delegazione di docenti allo Yad Vashem. Viaggiava anche Angelina Magnotta autrice, per il Consiglio, del volume Gino Bartali e la Shoah, in seguito fautrice della richiesta di riconoscimento di Giusto. “Il fascicolo della prof.ssa Magnotta”, afferma Pivato, “produce una lettera di Agostino Daviddi, figlio di Antonio deportato a Dachau che attesta che il padre deve la salvezza a una fotografia di Bartali del quale era tifoso. L’internato avrebbe scambiato l’immagine del campione toscano con una promessa, strappata a un altro deportato italiano (e toscano) al quale era stata delegata la scelta di una squadra per i lavori agricoli. Grazie a quell’incarico, riesce a sfuggire alla camera a gas”. Nel libro si afferma anche che la documentazione inviata a Gerusalemme al Dipartimento dei Giusti andò originariamente persa e che fu poi, in una successiva fase, reputata insufficiente.
Nel 2018 Pivato sposa la tesi dell’eroe
Nel 2018, alla quarta edizione del libro su Bartali, uscito per Castelvecchi, Stefano Pivato dà credito alla tesi di Bartali postino e campione di umanità che aveva preso sempre più forza nel mondo del ciclismo: “casco in un tranello legittimo per uno storico, il rifarsi alla letteratura esistente, commettendo un errore di superficialità. Non sono stato corretto”, ammette. Più di recente, con il libro adesso in uscita, sente il bisogno di fare ammenda. Già nel 2017 si era imbattuto nell’articolo Gino Bartali e la fabbricazione di carte di identità per gli ebrei nascosti a Firenze dello storico Michele Sarfatti che nel 2017 aveva avanzato dubbi sull’identità di Bartali, in vari documenti citato come Battaglia, colui che portava fotografie da Firenze in cambio di documenti falsi per gli ebrei fotografati.
Non c’è una prova, ma è verosimile che l’abbia fatto
“Le testimonianze che sostengono l’idea della staffetta”, aggiunge Pivato, “si basano sul sentito dire. Non c’è una prova”. Nel libro oggi in uscita sottolinea che si è trattato di “Storie romanzate, canzoni strabordanti di retorica, ricordi improvvisi, forzature, falsi storici e mitizzazioni: in coincidenza con l’istituzione del Giorno della Memoria”. “In questa dinamica, il tifo per il campione toscano (che l’autore ha conosciuto personalmente, ndr) si mescola alla sua fama di cavaliere dell’ideale cattolico ai tempi delle sue imprese sportive”. Vista l’elevatissima dirittura morale del ciclista, è comunque “verosimile”, ammette il professore, “che l’abbia fatto”.
Il commento della famiglia Bartali ricevuto dalla nipote Gioia
Come familiari e custodi delle memorie, dell’immagine e del buon nome di Gino Bartali, siamo tenuti a precisare qual è la nostra posizione in ordine alle sortite che di fatto gettano ombra sulla sua figura cristallina e sul suo impegno umanitario, l’ultima delle quali è apparsa sul Corriere della Sera in data 9 gennaio 2021. Prendiamo totalmente le distanze da iniziative che intendono dare una rappresentazione distorta delle vicende che hanno visto Gino Bartali tra i protagonisti dell’impegno umanitario e solidale nei confronti dei perseguitati dal nazifascismo.
Ricordiamo che, aldilà dei suoi grandi meriti sportivi, Gino ha ricevuto molte onorificenze tra cui, significative, il riconoscimento di Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem nel 2013, la medaglia d’oro al Valor Civile ricevuta postuma nel 2006 da parte del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, e la cittadinanza onoraria dello Stato di Israele nel 2018.
Noi familiari resteremo vigili e fermamente motivati a tutelare la memoria e l’integrità morale di questo grande italiano che si chiama Gino Bartali. Nel Giorno della Memoria, il 27 Gennaio, ricorderemo la figura del nostro familiare che mise a rischio la propria vita per salvare centinaia di vite umane. Un esempio da seguire e non da offuscare.